Giugno è il mese della Diversity & Inclusion
Un’occasione simbolica, certo. Ma anche un momento che ci interroga profondamente, come individui, aziende e comunità. Perché la diversità non si celebra con slogan, ma si pratica con scelte concrete, con politiche inclusive, con la coerenza quotidiana di chi sceglie di vedere la ricchezza dove altri vedono “solo” differenza.
In questo mese, spesso associato alla visibilità della comunità LGBTQ+, è bene ricordare che inclusione non è una bandiera da esibire, ma uno standard etico e sociale da mantenere elevato. E non riguarda solo l’orientamento sessuale o l’identità di genere, ma tocca una vasta gamma di condizioni che rendono ogni persona unica: dall’autismo alla salute mentale, dall’obesità alle disabilità invisibili.
Quando il politicamente corretto diventa un boomerang
In varie parti del mondo, alcune politiche di Diversity & Inclusion nate con le migliori intenzioni stanno mostrando un effetto paradossale: più divisione che coesione, più rigidità che dialogo, più censura che ascolto.
Negli Stati Uniti, alcune multinazionali tech della Silicon Valley hanno imposto regole molto severe sul linguaggio inclusivo, arrivando a vietare espressioni come “mamma e papà” o “ladies and gentlemen”. In diversi contesti aziendali, queste imposizioni sono state percepite come distacco dalla realtà e intolleranza al dissenso, generando tensione interna e disaffezione, anche tra chi era favorevole ai principi inclusivi.
In Germania, enti pubblici e università hanno introdotto forme linguistiche complesse (asterischi, schwa, pause fonetiche artificiali), che hanno sollevato critiche anche da parte di chi si considera progressista, per la scarsa chiarezza comunicativa e l’esclusione involontaria di chi ha difficoltà cognitive o linguistiche.
In Francia, l’“écriture inclusive” è stata vietata nei documenti pubblici e nelle scuole, con la motivazione che rende il linguaggio meno accessibile. Un’iniziativa nata per includere, percepita da molti come una barriera alla comprensione e dunque all’inclusione stessa.
Nel Regno Unito, alcune aziende hanno adottato script linguistici rigidi per la selezione del personale. Il risultato? Colloqui più artificiali, minor autenticità, distanza emotiva e allontanamento proprio da parte dei gruppi che si intendeva attrarre.
Anche in Italia non mancano segnali di tensione:
Alcune amministrazioni pubbliche e aziende hanno adottato simboli come lo schwa (ə) o l’asterisco (*) nei documenti ufficiali. Ma senza un vero confronto culturale interno, queste scelte sono spesso vissute come incomprensibili o imposte, generando resistenze.
In alcuni grandi gruppi del settore bancario e assicurativo, corsi obbligatori sulla D&I si sono trasformati in lezioni ideologiche, con reazioni passive o ironiche da parte dei partecipanti, compromettendo l’efficacia del messaggio.
In ambito universitario, l’obbligo di utilizzare forme linguistiche inclusive ha acceso un acceso dibattito tra libertà di espressione e correttezza formale, contribuendo a creare un clima meno disteso e poco produttivo.
La lezione?
L’inclusione non si impone. Si costruisce.
Non si ottiene con regolamenti o formule linguistiche astratte, ma attraverso ascolto, flessibilità, buon senso e attenzione ai contesti.
Un approccio troppo rigido può generare paura di esprimersi, disconnessione e perfino disillusione. Inclusione senza ascolto può diventare esclusione.
Per questo è fondamentale evitare derive ideologiche e scegliere invece interventi misurati, coerenti e solidali, costruiti nel tempo e nella realtà delle persone.
L’approccio di ASSIDIM
ASSIDIM promuove un’idea di inclusione che non ha bisogno di proclami, ma che si fonda su azioni concrete, costruite con discrezione e continuità.
Per ASSIDIM, inclusione significa garantire l’accesso concreto a cure e assistenza personalizzate, anche in ambiti spesso trascurati o considerati “sensibili”.
Un esempio significativo è l’introduzione, nei nostri piani sanitari, dei percorsi di supporto medico e psicologico per la transizione di genere, pensati per accompagnare con rispetto e riservatezza le persone che vivono una condizione di disforia.
Non si tratta di una scelta simbolica, né ideologica: è una risposta concreta a un bisogno reale, che riguarda anche i nuclei familiari di professionisti e dirigenti, spesso soli nell’affrontare percorsi delicati che impattano profondamente sulla qualità della vita e sulla serenità lavorativa.
Una scelta fatta senza clamore, ma con l’obiettivo chiaro di sostenere la persona nella sua interezza, riconoscendone il diritto alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione.
Un modello silenzioso ma solido, che può ispirare tutte quelle imprese che vogliono tradurre i propri valori in azioni coerenti e tangibili, e non solo in dichiarazioni d’intenti.
Diversità è valore. Ma solo se c’è inclusione vera
Una comunità – e un’azienda – inclusiva non tollera, ma integra. Non giudica, ma accoglie. Crea spazio per ogni forma di umanità: visibile o invisibile, conforme o non conforme, silenziosa o in cerca di voce.
Per le imprese, abbracciare davvero la cultura dell’inclusione significa investire in:
- benessere organizzativo,
- retention dei talenti,
- reputazione,
ma soprattutto
- coerenza valoriale.
Un’azienda che si prende cura di chi è fragile, diverso, non standard è un’azienda che costruisce fiducia, appartenenza e valore competitivo.
Come ricordava Verna Myers, Vicepresidente Diversity di Netflix:
“Diversity is being invited to the party. Inclusion is being asked to dance.”
E come ha affermato l’ex Primo Ministro canadese Justin Trudeau:
“Diversity is a fact, but inclusion is a choice.”
In questo senso, ASSIDIM sceglie ogni giorno l’inclusione non come slogan, ma come impegno concreto verso i propri assistiti: persone che lavorano, che contribuiscono al sistema, che meritano accesso a cure di qualità, tutela della propria dignità e risposte sanitarie all’altezza dei loro bisogni reali, anche nei percorsi più delicati e meno visibili.
📍 Scopri di più sulle nostre azioni per la salute e l’inclusione su www.assidim.it
📍 Contatta sviluppoassociativo@assidim.it
A cura di
Antonio Corrias
ASSIDIM
Sviluppo Associativo Marketing Comunicazione